9 aprile 2011

Michel Vallet (Feudo di San Maurizio): Quel Vino Dedicato a mio Figlio e a mio Padre

A destra Michel Vallet

Ho invitato Michel Vallet (Feudo di San Maurizio) alla mia trasmissione radiofonica quasi al buio. Mi ero accorto che i suoi voti nel mio sondaggio dedicato ai produttori di vino crescevano giorno dopo giorno tanto che una sera a cena con degli amici ho ordinato una bottiglia di Mayolet. Mi è piaciuta molto e anche i miei amici hanno apprezzato. Poi ho visitato il suo sito con attenzione e ho scoperto che per lui fare il viticultore era una scelta di vita. Mi è bastato. In questi giorni di Vinitaly mi sembra una buona idea riportarti la nostra chiacchierata.

Tu hai scritto sul tuo sito di aver scelto questo lavoro contro gli stereotipi della vita moderna…
Sono partito con questo progetto proprio perché volevo andare contro tutto ciò che è il logorio moderno. Si è trattato di una piccola rivoluzione personale. Ho dimenticato gli aspetti economici, e ho deciso di avere una vita fatta da me. Lavorare in agricoltura fa sì che io possa svegliarmi di notte per un imbottigliamento o una etichettatura e di giorno dedicarmi ad andare a sciare con la famiglia e così ottenere il massimo da uno stile di vita sano.

Una vita regolata dalla natura…
Tutti ridono perché io dico: alle 7 di sera non disturbatemi perché vado a dormire visto che sono stanco. Quando è buio vado a dormire e quando è giorno - prima che canti il gallo - canto io.

Coltivare la vigna nella tua famiglia era una tradizione oppure si è trattato di una novità assoluta?
Mio nonno era un agricoltore serio: mucche, vino, mele, lavorava alla Cogne. Si occupava sempre di mille cose ed era un uomo che credeva molto alla solidarietà. Io sono cresciuto con questa filosofia di vita. La generazione successiva ha un po’ dimenticato, anche  perché eravamo nei momenti difficili del dopoguerra. Io praticamente ho ricominciato tutto da capo. Non avevo nessuna proprietà. Sono partito da zero.

Parliamo un po’ dei vini che produci?
Il mio lavoro lo si fa per passione e non per danaro e in Valle c’è tutto quello che serve per sviluppare questa passione. Quando ho incominciato era l’89 e ho scelto di impiantare la prima vigna di Muller Thurgau perché allora era un vino di moda, richiesto e anche raccomandato dai tecnici regionali. Da quel giorno ne è passato davvero tanto di tempo e adesso lavoro otto ettari.

In Valle sono tanti otto ettari. Quante bottiglie sono?
Da disciplinare sono circa 100mila. Io ho scelto di produrne meno di quarantamila.

Quindi altissima qualità…
Si proprio per scegliere di fare il massimo della qualità. E da quel 1989 da quando ho deciso di impiantare la prima vigna io lavoro tutti gli autoctoni. Ho 35 vigne in questo momento. E anche questa è un po’ una cosa assurda perché il mondo della viticultura normalmente in otto ettari produce un vino, io invece produco 12 tipologie di vino.

Uno non si annoia insomma…
Ogni giorno è una scoperta nuova. Basta un 5% di Fumin in un Petit Rouge e ottieni un tono completamente diverso. Sembra un vino da invecchiamento. Questi abbinamenti me li scelgo, me li invento durante la stagione e poi anno dopo anno cerco di arrivare al meglio.

E’ una formazione fatta sul campo o c’è stato qualche aiuto?
Assolutamente tutta sul campo, tutta esperienza, tutta farina del mio sacco. Certo si ruba anche a destra e a sinistra. Si valuta il lavoro degli altri per copiare al meglio. Ma i vini sono il risultato delle mie scelte. Rappresentano la mia personalità.

L’etichetta Feudo di San Maurizio ha comunque un buon riscontro sul mercato?
A livello economico questo mi permette di avere dei dipendenti che mi aiutano nella stagione estiva che è la più faticosa. E soprattutto mi danno il vantaggio di avere il mio vino in diversi mercati e di essere conosciuto un po’ in tutto il mondo. Esporto in America, Svezia, Belgio. Mi arrivano tante domande, tante curiosità da tutto il mondo. Questo è il bello di questo lavoro perché l'aspetto economico vale fino ad un certo punto. Ci sono attività molto più redditizie.

Una domanda un po’ crudele. Qual è il vino di cui vai più fiero?
La risposta è scontata. Son tutti figli miei.

Immaginavo che fosse una domanda difficile. Proviamo a dirne due o tre?
Un aspetto interessante è la mia scoperta di vitigni nuovi. Sono stato fra i primi in Valle d’Aosta a ripiantare il fumin, che è stato il mio primo autoctono. Sono ormai circa 12 anni che lo lavoro. E poi ho proseguito con  il Mayolet e il Cornalin, e anche qui sono stato fra i primi in Valle. In questo momento poi sono l’unico produttore di Vuillermin a livello commerciale. Ce n’è soltanto un’altra sperimentale dell’Institut agricole. Tutti vini con notevoli riconoscimenti sia dalla critica che dal pubblico. Ma quello che mi dà più soddisfazione è un vino nato quasi per caso, prodotto con uve raccolte precocemente, appena dopo la colorazione delle uve, l’invaiatura, e poi messe in cassetta. Un esperimento nato perché ho voluto rubarlo agli uccelli e ai tassi che mi mangiavano tutta l’uva. Quell’anno quell'uva è stata dimenticata in un cantuccio ed è stata fatta fermentare in primavera. Uva rossa completamente passita che ha dato un risultato eccellente: 16 gradi con un residuo zuccherino. Questo vino si chiama Pierrot e si può dire che è l’Amarone dei Torrette. E’ una lavorazione simile all’Amarone, ma più predisposta all’invecchiamento perché ha una acidità superiore essendo stato raccolto precocemente ed è questo, secondo me, il vino che mi contraddistingue: l’unico passito rosso valdostano.

Perché Pierrot?
E’ una bella storia. Quest’uva è stata dimenticata l’anno in cui è mancato mio papà. Poi in quello stesso anno è nato mio figlio Pierre e ho voluto dare un nome che lo ricordasse. Una staffetta tra chi non c’è più e chi è appena nato. I Pierrot poi nel gergo di Voltaire sono gli uccellini quindi richiama anche quei famosi furti d’uva di cui accennavo prima.

Un’immagine con davvero tanti significati. Sono anche storie che affascinano l’appassionato di vino che non cerca soltanto il vino buono – questo è scontato – ma insegue anche emozioni, ricordi. In cantina piace una simile passione narrativa, ovviamente quando è vera come la tua…
E’ un atout che mi gioco. Mi viene naturale e rende molto dal punto di vista pubblicitario. Io non spendo un euro di pubblicità. La mia pubblicità sono io e la mia vita.

Una novità aziendale da raccontare in esclusiva ad ImpresaVda?
Il mio cervello è vulcanico. Attualmente ho grossi progetti ma è ancora un po’ presto per parlarne.

E allora un sogno imprenditoriale da realizzare?
Il mio sogno sarebbe che più gente si avvicinasse al mio settore. Mi fanno piangere le persone che tutti i giorni devono andare a lavorare in centro città e farsi mezz’ora o un'ora di coda per cercare un posteggio. Noi facciamo una vita completamente diversa, anche se purtroppo anche noi siamo afflitti sempre di più dalla burocrazia. Il sogno sarebbe qualcosa che cancella tutta questa burocrazia, rende tutto più semplice. Mentre invece adesso ogni giorno che passa c’è una tenuta di registri in più. Il mio sogno più che imprenditoriale riguarda la vita quotidiana delle persone, cioè riuscire a fare la nostra rivoluzione legata al risparmio – carburante, stress, tempo – dedicandoci di più a noi stessi, grazie ad una piccola attività in proprio.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella intervista, bellissime risposte.
C'è molto di quello che dovrebbe essere il nostro futuro in queste poche righe.
Un saluto
Graziano Binel

 

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